Oggi sul giornale “La Repubblica”
leggo con sconcerto alcune dichiarazioni di una giornalista, Francesca Chaouqui
[Direttore delle relazioni esterne multinazionale Ernst & Young Italia.] la
quale, prendendo spunto dalla tristissima vicenda della ragazzina uccisa a
Corigliano dal fidanzato, si rivolge a tutti i lettori scrivendo: “… Sono
scappata dalla Calabria… per essere libera.. In Calabria le donne che restano
sono poche, noi altre andiamo via per diventare qualcuno e per essere libere,
cosa che in Calabria non potremmo mai fare!”.
Ebbene vivo a Cosenza da 12 anni,
sono insegnante e dirigente scolastica,
quando ho letto quest’ articolo, non ho
potuto frenare la voglia di dire la mia. In questi anni, attraverso la mia
esperienza di vita qui in Calabria ho conosciuto una regione difficile,
complicata spesso problematica ,ma anche una terra semplice umilmente aperta, alla cultura e
all’innovazione. Nel mio lavoro incontro quotidianamente persone, uomini e donne calabresi, che lavorano ogni
giorno e si impegnano quotidianamente
per migliorare e migliorarsi come persone e come cittadini. Sono in tanti e credono con ottimismo in un futuro
possibile per se stessi e per le future
generazioni.
Mi trovo spesso a dialogare con
genitori attenti alla crescita sana dei propri figli, preoccupati del loro avvenire, ma fiduciosi dei percorsi che stanno incontrando e attraversando insieme,
in questi che sono tempi cosi profondamente critici. Con loro si parla di
ascolto, di apertura al dialogo, di educazione democratica, di diversità e di
uguaglianza. Insieme si affrontano problematiche familiari, genitoriali e
insieme ci si impegna per costruire relazioni sane, fondate su sentimenti e su
valori solidi; stima, fiducia, rispetto
reciproco.
Io stessa sono mamma di tre figli
e con loro parliamo di tutto e liberamente mi raccontano le loro esperienze di
vita. La sera a cena si parla di scuola, di problemi, di sesso, di droga, di
delinquenza.
Sono un insegnante e con i miei
alunni ho instaurato un dialogo aperto all’ascolto, allo scambio di opinioni,
alla critica costruttiva. Con loro si discute in classe, della vita, del lavoro,
della famiglia, in maniera libera e democratica.
Sono una donna e qui in Calabria
ho trovato la possibilità di essere libera di svolgere il mio lavoro così come
lo penso, lo immagino, lo desidero. Comunico le mie idee in modo libero, sono
me stessa con la gente che incontro, mi piace il confronto costruttivo con gli
altri. Mio marito è un calabrese, mi ha sempre sostenuto, motivato e affiancato
perché realizzassi il mio sogno lavorativo che è la mia realizzazione di donna
libera che lavora e contemporaneamente si dedica alla famiglia e ai figli.
Credo che le parole di questa
giornalista siano dure e offensive per le donne calabresi. Quella che lei
descrive come una situazione generale di una regione arretrata e violenta, purtroppo
è una situazione nazionale che vede negli ultimi anni sempre più donne colpite
da una violenza incomprensibile e imperdonabile.
Con questa mia testimonianza di
esperienza di vita in Calabria voglio esprimere il mio disaccordo per quanto
affermato nell’articolo, a cui già, in queste ore tanti e tante calabresi
stanno rispondendo con sdegno e indignazione. Io ho deciso di restare qui in
Calabria e di non scappare, nonostante le difficoltà e le incertezze che si
incontrano ogni giorno. Ho deciso di rimanere in questa terra per
costruire, per vedere nascere e crescere,
giovani liberi di fare delle scelte , persone liberate dai pregiudizi, uomini e
donne che vogliono crescere.. insieme..
Iolanda Cerrone
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